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 Teatro Franco Parenti, 9 novembre 2023


Dopo un debutto di rodaggio, mesi fa, sulle tavole del Teatro della Pergola a Firenze, è approdato al Teatro Franco Parenti di Milano l’attesissimo Misantropo di Molière.

photo©Filippo Manzini

Attesissimo sia per la regia di Andrée Ruth Shammah, nume tutelare del Parenti, e il ritorno alla prosa, dopo tanti successi meritatamente ottenuti sui palcoscenici lirici internazionali, di Luca Micheletti, baritono, attore, regista, traduttore; artista eclettico a 360 gradi.

photo©Filippo Manzini

Il Misantropo, che vide la luce della scena nel 1666, ritrae la malinconica, dolorosa, complessa figura di Alceste: uomo volontariamente isolato dal resto della società del suo tempo (che poi è il nostro, la natura umana non cambia), di cui rifiuta l’ipocrisia, la falsità, l’opportunismo, il dire una cosa di fronte per pensarne un’altra alle spalle; il suo bisogno estremo di sincerità sia quel che sia, lo porta a mettersi nei guai, ad inimicarsi potenti e cortigiani; ama una donna, disperatamente, Célimène, che è invece la summa dei difetti che lui odia: civetta, maldicente, frivola e calcolatrice.

photo©Filippo Manzini

Anche lei lo ama, ma non è disposta a rinunciare al proprio essere, al proprio modo di vivere, alle regole del mondo che la circonda, sbagliate che siano. Alceste ha anche un amico, l’unico, Philinte, che razionalmente capisce le ragioni di Alceste ma cerca di indirizzarle con saggezza verso un quieto vivere fatto di disincantata accettazione del mondo così com’è. Dietro la gelosia di Alceste verso Célimène si cela quella reale che Molière provava per la propria consorte, al quale il personaggio è in un certo senso ispirato. Alla fine Alceste, abbandonato da tutti, anche da Philinte che troverà una compagna nella dolce Eliana, resterà solo in compagnia unicamente della propria ferita ma incrollabile intransigenza.

photo©Filippo Manzini

Andrée Ruth Shammah ci restituisce un teatro classico e moderno al tempo stesso (“se questo testo è attuale, e lo è, non c’è bisogno di modernizzarlo; non occorre portare Molière verso di noi, sta a noi elevarci a lui”, ha affermato Shammah). La traduzione in versi, in rime settenarie, ottimamente resa da Valerio Magrelli, con la collaborazione della stessa regista e di Micheletti, dapprima ha un effetto straniante, ma subito si entra nel meccanismo del crudele gioco di società che rappresenta; e le parole si fanno così musica, densa di significato.

photo©Filippo Manzini

La regia della Shammah è vitale, energetica, brillante; i movimenti degli attori sono curati (con la collaborazione di Isa Traversi) come in un fluido scorrere di danza, in un flusso continuo di entrate e uscite calibrate al millimetro e sempre con senso narrativo e drammatico.

photo©Filippo Manzini

Margherita Palli, un monumento vivente della scenografia teatrale, che gli dei ce la conservino, ha creato un impianto che riproduce la Sala prove Testori, dove questa produzione del Misantropo è nata e ha preso vita, e i personaggi sono cresciuti e, guardandosi negli occhi, si sono riconosciuti. Bellissimi, nel loro controcanto cromatico, i costumi secenteschi di Giovanna Buzzi, e ben calibrate le luci di Fabrizio Bellini e le musiche di Michele Tadini.  Uno spettacolo visivamente accattivate e concettualmente pregnante, da vedere. Anche perché parla di noi, sempre, come tutti i capolavori fanno.

photo©Filippo Manzini

Nel cast domina la personalità carismatica e vocale (che timbro bello, caldo, avvolgente, pastoso, non ti stancheresti mai di ascoltarlo) di Luca Micheletti, che rende magistralmente la personalità sfaccettata, introversa, tormentata e anche ammantata di indifesa tenerezza di Alceste. Non c’è gesto, inflessione, espressione del volto che non abbia una sua ragione. Bravissimo.

photo©Filippo Manzini

Non gli è inferiore Angelo Di Genio, Philinte accorato e ironico, sensibile e cinico ad un tempo, in perfetto dosaggio di tempi teatrali e modulazioni insinuanti, varie nei toni e nelle intenzioni.

Molto bravi, nei loro ritratti, Corrado D’Elia (Oronte) e i marchesi di Filippo Lai e Vito Vicino (rispettivamente Citandro e Lacasta).

photo©Filippo Manzini

Nel comparto femminile lodi per la vaporosa e manipolatrice Célimène di Marina Occhionero, per la dolce Eliana di Maria Luisa Zaltron, e, in particolare, per l’aguzza e ambigua Orsina di Emilia Scarpati Fanetti.

photo©Filippo Manzini

Completavano adeguatamente la locandina Andrea Soffiantini (Basco), Pietro De Pascalis (Du Bois), Francesco Maisetti (Guardia) e Matteo Delespaul (Secondo servitore)

photo©Filippo Manzini

Pubblico plaudente e soddisfatto al termine. Si replica sino a inizio dicembre.

 

Nicola Salmoiraghi

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MILANO: Fr4nkenste1n – Bisogna sapere uccidere quando è necessario, a cura di Nicola Salmoiraghi http://cdp.iteatridellest.com/2023/10/07/milano-fr4nkenste1n-bisogna-sapere-uccidere-quando-e-necessario-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/ http://cdp.iteatridellest.com/2023/10/07/milano-fr4nkenste1n-bisogna-sapere-uccidere-quando-e-necessario-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/#respond Sat, 07 Oct 2023 09:58:20 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=269 Due interessanti proposte di Teatro di prosa, “alternative” ai più togati circuiti meneghini, si sono avute a Milano nel giro di una settimana, ed entrambe a firma registica di Davide Garattini Raimondi, regista già ampiamente affermato nel campo della lirica. La prima, al Teatro Out Off, una produzione in collaborazione con BarabiTTeatro, è stata Fr4nkenste1n, la seconda, al Teatro Umanitaria, Bisogna sapere uccidere quando è necessario, in questo caso una

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Due interessanti proposte di Teatro di prosa, “alternative” ai più togati circuiti meneghini, si sono avute a Milano nel giro di una settimana, ed entrambe a firma registica di Davide Garattini Raimondi, regista già ampiamente affermato nel campo della lirica.

La prima, al Teatro Out Off, una produzione in collaborazione con BarabiTTeatro, è stata Fr4nkenste1n, la seconda, al Teatro Umanitaria, Bisogna sapere uccidere quando è necessario, in questo caso una proposta interamente di BarabiTTeatro.

 

Teatro Out Off, 30 settembre 2023


photo©Alessandro Villa

Fr4nkenste1n, di cui Davide Garattini Raimondi ha curato la drammaturgia, è ovviamente ispirato al testo di Mary Shelley, condensato in una stringatissima e serrata rilettura di un’ora, che non lascia fiato per graffiante intensità e impatto drammatico. Cinque i personaggi (assai bravi tutti gli attori, Stefano Cecchetti, Nicola Ciulla, Alessandro Gautiero, Paolo Carlo Alberto Gramegna e Cecilia Uberti Foppa) e da qui i numeri interpolati nel titolo: uno scienziato-creatore e 4 creature diversamente disturbate. In un “non luogo” caratterizzato dal suggestivo sfondo pietroso dell’Out Off, che potrebbe essere una clinica per malattie mentali, un carcere, il sotterraneo di un palazzo, i ruoli delle 4 creature, che poi sono una sola, continuano a interesecarsi con quello del creatore, in uno spietato e disperato gioco al massacro, in cui a un certo punto non si capisce più chi sia chi e forse non è importante. Le creature non sono nulla senza chi le ha “messe al mondo” e viceversa chi ha dato loro vita, pur volendosene liberare e distruggerle, non può in realtà farne a meno.

photo©Alessandro Villa

Al termine, quando smessi i panni bianchi e asettici ognuno veste i colori del rosa e dell’azzurro (una speranza?) l’unica donna, madre e creatrice per eccellenza abbandonerà il frutto del suo parto, in una coazione a ripetere. Ed è un pretesto per rivolgersi anche ai testi di altri autori, come Pasolini, che aveva previsto il livellamento attuale per cui lo scontro generazionale genitori-figli praticamente non esiste più, dal momento che i padri (e le madri) vogliono sentirsi ed essere più “figli” di quanto non sia la loro prole.

photo©Alessandro Villa

Davide Garattini Raimondi ha costruito uno spettacolo che si trasforma in ring delle emozioni e della coscienza con mano sapientissima e un ritmo teatrale coinvolgente, che non lascia spazio a compromessi e consolazione. I loro volti, che potrebbero essere i nostri, suscitano pietà e paura, e in che misura una sensazione superi l’altra non è dato comprendere.

photo©Alessandro Villa

Hanno contribuito all’ottima riuscita (Teatro stracolmo e successo vibrante), il consulente alla drammaturgia Raúl Iaiza, i costumi di Stefania Parisini, gli Oggetti di scena di BarabiTTeatro e il suggestivo gioco luci pensato dallo stesso Garattini.

photo©Alessandro Villa

 Teatro Umanitaria, 5 ottobre 2023


photo©Alessandro Villa

Bisogna sapere uccidere quando è necessario, invece, è liberamente tratto dal testo potentemente visionario e crudele di Agota Kristof Il Grande Quaderno, per il Fringe Festival Milanoff, sempre con regia, come si è detto, di Garattini Raimondi e come protagonisti Alessandro Gautiero e Paolo Carlo Alberto Gramegna, già apprezzati in Fr4nkenste1n, e che anche in questo caso si dimostrano all’altezza della situazione, impegnati a dar corpo, voce e “viscere” ai due bambini su cui è imperniata la vicenda,  ma sono di volta in volta più di un personaggio: la madre il padre, la nonna, la vicina di casa, la ragazza dal labbro leporino, un soldato, con un semplice cambio di accessorio o diverse inflessioni della voce.

photo©Alessandro Villa

Un paese in guerra (quale? Quando? Dove? Non ha importanza), i bombardamenti devastano la Grande Città e la madre porta i suoi due gemelli in salvo nella Piccola Città, affidandoli alla custodia della sua di mamma, la nonna arpia e anaffettiva. La vita sarà durissima, senza affetto e senza sentimenti; la guerra arriverà anche lì, lo straniero occuperà il Paese liberandolo ma in realtà asservendolo ad una terribile dittatura. I due gemelli imparano a crescere con durezza e cinismo, trasformandosi in piccoli mostri a loro volta, e in assassini. Sì, perché come ha detto la nonna “Bisogna sapere uccidere quando è necessario”.

photo©Alessandro Villa

E loro lo faranno, uccideranno tagliandole la gola la vicina di casa che ha visto morire la figlia, la ragazza dal labbro leporino, morta in seguito alla violenza sessuale (in realtà  quasi ricercata e voluta dalla ragazza in odor di ninfomania) di una dozzina di soldati invasori, ed è rimasta sola; “aiuteranno” la nonna ad andarsene dopo un secondo colpo apoplettico; appenderanno al soffitto, dopo averli ripuliti, gli scheletri della madre, uccisa da una granata e sepolta nel giardino della nonna quando era tornata a riprenderli per portarli via con sé, e della bambina che aveva avuto nel frattempo da un altro uomo, e, infine, con la scusa di dargli una mano ad attraversare clandestinamente il confine, useranno il padre tornato dalla guerra come apripista, facendolo saltare su una mina, per rendere il passaggio più sicuro per loro; uno fuggirà, uno resterà a casa della nonna; diventati adulti, diventati feroci, diventati come il mondo li ha fatti diventare, straziati, feriti e soli.

photo©Alessandro Villa

Di questa scabrosa e difficile materia, sorretto dai suoi bravissimi attori, Davide Garattini Raimondi ha ricavato un racconto teso e drammaticissimo (anche in questo caso poco più di un’ora di durata); palcoscenico vuoto, luci inquiete, una cassa che si apre ed è tutto; forziere, tomba, bara, porta… mele che cadono dalla stessa e invadono il palco e i pochi gradini che lo separano dalla platea; i frutti della vita, i morsi della morte. Teatro di parola lacerante e che scava dentro, nell’abisso che potenzialmente ognuno porta dentro e non vuole vedere. Anche in questo caso lavoro teatrale eccellente, accolto dai calorosi applausi del pubblico presente alla “prima”.

photo©Alessandro Villa

Due lavori che dimostrano, oltre al talento del regista e degli attori che vi hanno preso parte, come Milano possa offrire scampoli di Teatro importante anche al di fuori dei più noti e togati cartelloni, a testimonianza di una vitalità culturale che va coltivata, tutelata e incentivata.

photo©Alessandro Villa

Nicola Salmoiraghi

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FERRARA: Chiedimi se sono di turno – Giacomo Poretti, 6 maggio 2023 a cura di Matteo Cucchi http://cdp.iteatridellest.com/2023/05/18/ferrara-chiedimi-se-sono-di-turno-giacomo-poretti-6-maggio-2023-a-cura-di-matteo-cucchi/ http://cdp.iteatridellest.com/2023/05/18/ferrara-chiedimi-se-sono-di-turno-giacomo-poretti-6-maggio-2023-a-cura-di-matteo-cucchi/#respond Thu, 18 May 2023 11:01:53 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=262 CHIEDIMI SE SONO DI TURNO Di e con Giacomo Poretti (6 maggio 2023 – 16.00) Regia Andrea Chiodi Scene e costumi Matteo Patrucco Disegno e luci Luna Mariotti Audio Marco Broggiato Produzione AGIDI     Teatro Comunale di Ferrara,  6 maggio 2023 Per la stagione di prosa, dopo il rinvio a causa della pandemia, il Teatro Comunale di Ferrara porta come ospite una delle eccellenze del nostro panorama comico. Giacomo

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CHIEDIMI SE SONO DI TURNO

Di e con Giacomo Poretti

(6 maggio 2023 – 16.00)


Regia Andrea Chiodi

Scene e costumi Matteo Patrucco

Disegno e luci Luna Mariotti

Audio Marco Broggiato

Produzione AGIDI

 

 

Teatro Comunale di Ferrara,  6 maggio 2023


Per la stagione di prosa, dopo il rinvio a causa della pandemia, il Teatro Comunale di Ferrara porta come ospite una delle eccellenze del nostro panorama comico. Giacomo Poretti del celebre trio Aldo, Giovanni e Giacomo; un trio che tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ha scritto una bellissima pagina del nostro teatro comico con quegli sketch noti a tutti gli italiani innestati nei loro film. Giacomo questa volta si esibisce senza i suoi storici colleghi in un one man show nel quale con allegria e una punta di malinconia racconta la sua lunga esperienza come infermiere precedente alla carriera di comico. Uno spettacolo allegro, certo, che però fa anche riflettere su una realtà parallela alla nostra dalla quale, giustamente, facciamo di tutto per tenerci lontani ma nella quale ogni giorno uomini e donne si trovano a lavorare. Giacomo questa realtà ce la presenta scherzosamente ma non manca di toccare picchi di drammaticità che non possono che presentarsi in un ospedale. Come in tutti gli spettacoli del trio anche in questo Giacomo si presenta su un palco arredato con poco più dello stretto necessario per ricreare l’atmosfera ospedaliera. Non ha bisogno di ricche scenografie per calare il pubblico nel suo mondo; gli basta il suo carisma e gli sporadici supporti audio di Marco Broggiato.

Matteo Cucchi

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MILANO: La dolce ala della giovinezza – Tennessee Williams, 21 marzo 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi http://cdp.iteatridellest.com/2023/03/22/milano-la-dolce-ala-della-giovinezza-tennessee-williams-21-marzo-2023-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/ http://cdp.iteatridellest.com/2023/03/22/milano-la-dolce-ala-della-giovinezza-tennessee-williams-21-marzo-2023-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/#respond Wed, 22 Mar 2023 13:55:21 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=253 La dolce ala della giovinezza di Tennessee Williams Traduzione Masolino d’Amico Musiche composte da Stefano Mainetti Light designer Pietro Sperduti e con Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi   Teatro Manzoni, 21 marzo 2023 E’ approdata sulle scene del Teatro Manzoni di Milano la produzione de La dolce ala della giovinezza di Tennessee Williams, che già dalla stagione scorsa percorre

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La dolce ala
della giovinezza

di Tennessee Williams


Traduzione Masolino d’Amico

Musiche composte da Stefano Mainetti
Light designer Pietro Sperduti

e con Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna,
Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi

Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi

 

Teatro Manzoni, 21 marzo 2023


E’ approdata sulle scene del Teatro Manzoni di Milano la produzione de La dolce ala della giovinezza di Tennessee Williams, che già dalla stagione scorsa percorre con successo i palcoscenici d’Italia.

Williams scrisse il testo il corso del 1952, pensando a Tallulah Bankhead come protagonista e la pièce debuttò in Florida, con la Bankhead, nel 1956, ma il dramma arrivò a Broadway solo nel 1959, regista Elia Kazan e protagonisti Geraldine Page e Paul Newman, che ne interpretarono anche la versione cinematografica del 1962 diretta da Richard Brooks, addolcita e smorzata nei toni rispetto all’originale teatrale, come sempre accadeva a Hollywood con Tennessee Williams.

Se c’è un difetto da imputare a questa versione della Dolce ala, traduzione di Masolino D’Amico, è la riduzione che ne è stata fatta. Bellissimo e intenso testo di Williams, è incentrato su due sconfitti, gli sconfitti che popolano la sua drammaturgia: l’ex diva Alexandra Del Lago, alcolizzata, cocainomane, impasticcata, ninfomane e chi più ne ha più ne metta, che sul viale del tramonto improvvisamente crederà di riagguantare un effimero successo, e l’attore fallito nonché riuscito gigolò Chance Wayne, che ne è il giovane amante momentaneo e torna nella sua città natale in cerca, senza riuscirci, di rivalsa e di riavere l’antico amore perduto, la giovane Heavenly, a sua volta ferita psicologicamente e nella sua femminilità. Il tutto è stato concentrato in un’ora e cinquanta senza intervallo (cattiva abitudine questa che ha preso piede, di rappresentare anche testi talvolta molto lunghi senza pause, che l’autore aveva previsto) con tagli nel testo che rendono meno chiari alcuni passaggi e taluni personaggi eliminati o che appaiono solo come voce registrata fuori scena. Così facendo, invece di avvincere maggiormente lo spettatore, la tensione zoppica perché si rompe l’equilibrio perfetto di una teatralità pensata, e si rischia di ingenerare noia.

Lo spettacolo con regia, scene e costumi del grande Pier Luigi Pizzi, una delle colonne del nostro Teatro, che si avvia felicemente a essere un ragazzo di 93 anni, è di composta, fascinosa eleganza. Un interno, che ricorda certe sospese solitudini dei quadri di Edward Hopper, diviso in tre sezioni, anticamera, camera e stanza da bagno, che si trasforma con pochi tocchi anche nella hall dell’albergo. La regia, concentrata soprattutto sui due protagonisti, è condotta con chiarezza, abilità, fluida scorrevolezza narrativa, e non ci si sarebbe aspettati niente di meno. Light designer è Pietro Sperduti, musiche evocative composte da Stefano Mainetti.

Brava Elena Sofia Ricci nei panni mattatoriali e istrionici di Alexandra, una donna in equilibrio sul baratro, che non sai mai (nemmeno lei lo sa) quando recita e quando è autentica, interpretata con passionalità vorace, impeto carismatico e ruvidi abbandoni.

Molto convincente anche Gabriele Anagni, un Chance più scopertamente fragile e vulnerabile di quanto siamo abituati, che ne mette in risalto la graffiata e strapazzata, in primo luogo da lui stesso, umanità e a cui la regia concede, potendoseli permettere, anche alcuni fuggevoli nudi, che certamente nulla aggiungono comunque a una prova di rilievo.

Meno centrato il volenteroso cast di contorno (altra brutta abitudine della prosa, non mettere in locandina o in programma di sala i nomi dei personaggi accanto a quelli degli attori). Per cui dico che la Heavenly di Valentina Martone era più a fuoco della troppo caricata Lucy di Chiara Degani; gli altri erano, in ordine di “valore”, Eros Pascale e Giorgio Sales (gli ex amici di Chance) e poi Flavio Francucci (Tom Finley Jr.), Marco Fanizzi, Alberto Penna.

Applausi cordiali al termine, più calorosi per Gabriele Anagni e, come è ovvio, per Elena Sofia Ricci.

Nicola Salmoiraghi

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PAVIA: Maria Stuarda di Schiller, 19 febbraio 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi http://cdp.iteatridellest.com/2023/02/20/pavia-maria-stuarda-di-schiller-19-febbraio-2023-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/ http://cdp.iteatridellest.com/2023/02/20/pavia-maria-stuarda-di-schiller-19-febbraio-2023-a-cura-di-nicola-salmoiraghi/#respond Mon, 20 Feb 2023 16:08:47 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=246 MARIA STUARDA di Friedrich Schiller traduzione Carlo Sciaccaluga con Laura Marinoni e Elisabetta Pozzi Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia Chitarra e voce Giua regia Davide Livermore scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi costumi regine Dolce & Gabbana costumi Anna Missaglia musiche e sound design Mario Conte musiche e arrangiamenti Giua disegno luci Aldo Mantovani regista assistente Mercedes Martini produzione Teatro Nazionale di Genova Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale / Centro Teatrale Bresciano       Teatro Fraschini, 19

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MARIA STUARDA

di Friedrich Schiller

traduzione Carlo Sciaccaluga


con Laura Marinoni e Elisabetta Pozzi
Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi, Sax Nicosia
Chitarra e voce Giua

regia Davide Livermore
scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi
costumi regine Dolce & Gabbana
costumi Anna Missaglia
musiche e sound design Mario Conte
musiche e arrangiamenti Giua
disegno luci Aldo Mantovani
regista assistente Mercedes Martini
produzione Teatro Nazionale di Genova
Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale / Centro Teatrale Bresciano

 

 

 

Teatro Fraschini, 19 febbraio 2023


Per una volta (ma non sarà l’ultima…) mi occupo di Teatro di prosa, se pur con qualche legame lirico, in questo caso. Maria Stuarda di Schiller (scritta nel 1800) ha fornito ispirazione alla medesima opera di Donizetti e il regista di questo bellissimo spettacolo, che ho visto al Teatro Fraschini di Pavia (ha debuttato a Genova, in una coproduzione del Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino e Centro Teatrale Bresciano) è Davide Livermore, che con l’opera ha conosciuta e frequentissima consuetudine.

Il testo di Schiller (traduzione di Carlo Sciaccaluga), ancora oggi un avvincente e tesissimo thriller dell’anima, basato sullo scontro di potere e sentimenti, tra solitudine e tormento, tra la Regina di Scozia, Maria, e quella d’Inghilterra, Elisabetta I Tudor, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, trova proprio nella forza teatrale, dark e moderna, dell’allestimento di Livermore il suo punto di forza, insieme a una strepitosa compagnia di attori.

Maria Stuarda regia di Davide Livermore. Foto © Masiar Pasquali

Un contenitore atemporale creato dallo stesso regista con Lorenzo Russo Rainaldi, giocato sui toni del rosso e del nero, costumi di foggia novecentesca di Anna Missaglia, ma quelli delle due protagoniste sono fascinose creazioni, allusive all’epoca del dramma, di Dolce & Gabbana, suggestivo gioco luci di Aldo Mantovani, alcune attrici che ricoprono ruoli maschili, fanno da sfondo all’eterna e spietata lotta per la supremazia al vertice dello Stato, dove le donne sono costrette (erano? Sono?) a comportarsi spietatamente come gli uomini (soprattutto Elisabetta) per prevalere. Ma la condanna di Stuarda non salverà dall’angoscia dell’abisso, dall’aridità del vuoto, dalla doppiezza di ogni anima accanto, la Tudor. Livermore inventa un prologo in cui un angelo fa cadere una piuma sulle due attrici in abito neutro e scuro; quella dalla cui parte cadrà sarà Maria, l’altra Elisabetta, in un possibile continuo alternarsi di ruoli, di replica in replica; uno specchio a due facce, la dualità di un medesimo, conflittuale, destino.

Maria Stuarda regia di Davide Livermore. Foto © Masiar Pasquali

Molto bella l’idea di fare accompagnare tutto lo spettacolo dalla chitarra elettrica e dalla voce della bravissima Giua, che rielabora in chiave rock musiche di Purcell e Dowland, con il contributo essenziale del compositore e sound designer Mario Conte, che crea i teatralissimi effetti narrativi di amplificazione (qui mai disturbanti e nocivi). Lavoro registico di cesello su ogni personaggio, grande Teatro.

Si diceva della compagnia, tutta di altissimo livello, alcuni/e impegnati/e in più ruoli: la brava Gaia Aprea (Anna Kennedy, George Talbot, Un ufficiale), la fantastica Linda Gennari (travagliato e credibilissimo Mortimer, Angelo del Destino, Il Paggio servitore di Elisabetta), Giancarlo Judica Cordiglia (William Cecil, Melvil maggiordomo di Maria), Olivia Manescalchi (Paulet, Conte di Aubespine, William Davison). Sax Nicosia era l’enigmatico e conteso (tra le due donne) Leicester, a cui ha sotteso una luce sottilmente luciferina.

Resta da dire delle due protagoniste. La piuma del destino mi ha riservato Laura Marinoni come Maria e Elisabetta Pozzi come Elisabetta. Quest’ultima si è mangiata la recita a morsi. Un’interpretazione gigantesca: l’uso della voce, di mezzitoni, delle risate sarcastiche, dei gesti imperiosi, delle espressioni, del non detto importante quanto il detto. Un carisma unico, un’attrice fenomenale.

Maria Stuarda regia di Davide Livermore. Foto © Masiar Pasquali

Bravissima, nella sua carnale e seduttiva dolcezza (che nasconde una consapevole e al medesimo tempo indifesa ambiguità), anche Laura Marinoni come Stuarda, che nel memorabile e celeberrimo scontro con la rivale nella foresta di Forteringhay (come se non avvenuto nella realtà, le due cugine mai si incontrarono in vita), ha tenuto spavaldamente testa alla partner, giganteggiando a sua volta.

Non ci sarebbe stancati di applaudire al termine, ma perché tanti vuoti in Teatro?

Mai come questa volta gli assenti hanno avuto torto.

Nicola Salmoiraghi

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FERRARA: PARSONS DANCE – David Parsons, 9 dicembre 2022 http://cdp.iteatridellest.com/2023/01/02/ferrara-parsons-dance-david-parsons-9-dicembre-2022/ http://cdp.iteatridellest.com/2023/01/02/ferrara-parsons-dance-david-parsons-9-dicembre-2022/#respond Mon, 02 Jan 2023 16:53:11 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=242 PARSONS DANCE di David Parsons Produzione: Antonio Gnecchi Ruscone, Art Works Production Interpreti: Zoey Anderson, Croix di Ienno, Rachel Harris, Megan Leigh Garcia, Tèa Pèrez, Christian Paris Blue, Nick Fearon, Luke Romanzi, Erin Hollamon Direttore artistico: David Parsons General Manager: Rebecca Josue Lighting Designer: Howell Binkley Assistente disegno luci: Christopher Chambers Direttore di produzione: Marco Tassinato Direttore di scena: Danielle De Vito Teatro Comunale, 9 dicembre 2022 Prosegue la stagione

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PARSONS DANCE di David Parsons

Produzione: Antonio Gnecchi Ruscone, Art Works Production

Interpreti: Zoey Anderson, Croix di Ienno, Rachel Harris, Megan Leigh Garcia, Tèa Pèrez, Christian Paris Blue, Nick Fearon, Luke Romanzi, Erin Hollamon

Direttore artistico: David Parsons

General Manager: Rebecca Josue

Lighting Designer: Howell Binkley

Assistente disegno luci: Christopher Chambers

Direttore di produzione: Marco Tassinato

Direttore di scena: Danielle De Vito

Teatro Comunale, 9 dicembre 2022


Prosegue la stagione di opera e balletto al Teatro Comunale di Ferrara che nel secondo appuntamento del cartellone, primo per quanto concerne la danza, vede sul palco la compagnia americana Parsons Dance esibirsi in un energico spettacolo ricco di coreografie acrobatiche enfatizzate dalle luci di Howell Binkley.

David Parsons, direttore artistico ed eponimo dello spettacolo, in attività da ormai quarantadue anni, debutta in questo tour tutto italiano con due nuove coreografie: “The Road” e “Balance of power”.

The Road porta in scena una coreografia corale nel quale i ballerini creano un flusso di movimento che richiama per l’appunto il viaggio (The Road, la strada, intesa quindi in senso metaforico). Un viaggio però emozionale ispirato dalle stesse note su cui ballano gli artisti in scena; le note di Peace Train, di Trouble e di altre canzoni di Yusuf/Cat Stevens.

Balance of power è una coreografia solista creata nel 2020 in collaborazione con il compositore e percussionista Giancarlo De Trizio, per Zoey Anderson; si tratta dunque di un lavoro portato avanti “a sei mani” tra coreografo, ballerina e musicista.

Lo spettacolo, della durata di poco più di un’ora, si è chiuso con un pubblico entusiasta e soddisfatto di un’apertura di stagione moderna e svincolata dal monopolio dei soliti noti che occupano i cartelloni italiani.

Matteo Cucchi

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FERRARA: Oylem Goylem – Moni Ovadia, 25 novembre 2022 http://cdp.iteatridellest.com/2022/12/03/ferrara-oylem-goylem-moni-ovadia-25-novembre-2022/ http://cdp.iteatridellest.com/2022/12/03/ferrara-oylem-goylem-moni-ovadia-25-novembre-2022/#respond Sat, 03 Dec 2022 10:22:12 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=232 Stagione di Prosa 2022/23 Teatro Comunale di Ferrara ____________________________________________ Teatro Comunale di Ferrara  Venerdì 25 e sabato 26 novembre 2022 ore 20.30  Domenica 27 novembre ore 16 Oylem Goylem di e con Moni Ovadia e con la Stage Orchestra Tra lingua e musica, Oylem Goylem di  Moni Ovadia è un viaggio nel mondo di chi, senza patria, erra per il mondo. Canti, musiche, storie, aneddoti, tra battute fulminanti e citazioni colte, il tutto arricchito dalla

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Stagione di Prosa 2022/23

Teatro Comunale di Ferrara

____________________________________________

Teatro Comunale di Ferrara 

Venerdì 25 e sabato 26 novembre 2022 ore 20.30 

Domenica 27 novembre ore 16

Oylem Goylem

di e con Moni Ovadia e con la Stage Orchestra

Tra lingua e musica, Oylem Goylem di  Moni Ovadia è un viaggio nel mondo di chi, senza patria, erra per il mondo. Canti, musiche, storie, aneddoti, tra battute fulminanti e citazioni colte, il tutto arricchito dalla presenza della musica dal vivo della Moni Ovadia Stage Orchestra. Uno spettacolo cult che da trent’anni porta in scena un’idea di memoria come progetto per il futuro. 

 

Teatro Comunale di Ferrara, 25 novembre 2022


Compongono la Stage Orchestra Maurizio Dehò al violino, Giovanna Famulari al violoncello, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Mihai alla fisarmonica e Marian Serban al cymbalon. Suono a cura di Mauro Pagiaro, scene e costumi di Elisa Savi. Una produzione Centro Teatrale Bresciano.

Prosegue, dopo un’ottima rappresentazione dello shakespeariano “Mercante di Venezia”, la stagione di prosa al Teatro Comunale di Ferrara. Ad occupare per ben tre date (25-26-27/11) il palco ferrarese è niente meno che Moni Ovadia, attuale direttore generale del Comunale, che ripropone il suo cavallo di battaglia “Oylem Goylem”. Accompagnato dalla Moni Ovadia Stage Orchestra il conduttore alterna con grande perizia riflessioni sulla cultura yiddish (e su quella ebraica in generale), intervalli di musica klezmer, cantata magistralmente dallo stesso Ovadia, ed elaborate barzellette tipiche di quel tradizionale umorismo ebraico (spesso e volentieri caratterizzato da una non troppo velata autoironia).

Non si tratta solo brillanti storielle da cabaret ma piuttosto di un viaggio, seppur breve e affrontato con relativa leggerezza d’animo, all’interno di una cultura che silenziosamente sopravvive accanto alla nostra e accanto a molte altre di carattere nazionale. Come giustamente fa notare Ovadia, uno degli elementi che più risente dell’influenza di culture più egemoni (da un punto di vista demografico) è la lingua: quando singoli individui o piccoli gruppi si spostano da un contesto linguistico all’altro tendono a perdere la propria lingua madre entro due o tre generazioni.


Ero appoggiato al parapetto dell’imbarcazione e come si usa guardavo il mare quando mi giunge all’orecchio un sospiro, di fianco a me era sopraggiunto un signore con il viso solcato da quelle rughe d’espressione prodotte dal duro lavoro all’aria aperta e cogliendo la mia disposizione ad ascoltarlo fa: “What a peccato, once the mare was very polito”. Era un emigrato che tornava dall’Australia. Eccolo un suono dall’esilio, il disfarsi della propria lingua e delle proprie dialettiche non basta più a sé stesso che contaminandosi con un’altra lingua perde il senso dei propri confini che non esistono più e della precisione del proprio utilizzo legato ad una cultura povera magari, ma dotata di una forte identità. Ma questo, pur con tutto il suo significato anche politico mantiene il suo livello di chiarezza: c’è un luogo dal quale si proviene e un luogo nel quale si è tentato di costruire una nuova vita, un qua, un là. Un’altra dimensione dell’esilio si manifesta in tutto il suo paradosso quando entriamo nel “lontano da dove” o nel “la somma degli angoli di cui ho nostalgia è uguale a 360 gradi”. Laddove la diaspora introiettata diviene inelaborabile e sviluppa pressioni emotivo-cerebrali vertiginose.”


Ciò non avviene per i parlanti yiddish vuoi perché spesso più legati a comunità che gelosamente custodiscono le loro usanze, vuoi perché paradossalmente la lingua si conserva e si evolve costantemente proprio grazie al contatto con le culture con cui entra in contatto. La lingua stessa eredita la condizione errante dei suoi parlanti che pur dispersi e adattatasi ai nuovi contesti sociali preservano la propria cultura. Ovadia però non ne parla da linguista o da storico, ci dipinge un quadro in grado di farci comprendere una realtà che viaggia su binari paralleli ai nostri e che raramente ci capita di scoprire.

Matteo Cucchi

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FERRARA: Matteotti Medley, 28 ottobre 2022 a cura di Matteo Cucchi http://cdp.iteatridellest.com/2022/10/31/ferrara-matteotti-medley-28-ottobre-2022-a-cura-di-matteo-cucchi/ http://cdp.iteatridellest.com/2022/10/31/ferrara-matteotti-medley-28-ottobre-2022-a-cura-di-matteo-cucchi/#respond Mon, 31 Oct 2022 08:15:40 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=226 Matteotti Medley Documentario teatrale a cura di Maurizio Donadoni «Che si sappia così poco della storia di questo “inutile eroe”, grazie al cui sacrificio – con quello di tanti altri – oggi viviamo in libertà, è un peccato…». Maurizio Donadoni Teatro Comunale di Ferrara, 28 ottobre 2022 Nella serata del 28 ottobre 2022 il Teatro Comunale di Ferrara, esattamente a distanza di 100 anni dalla marcia su Roma, ha lasciato il

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Matteotti Medley

Documentario teatrale a cura di Maurizio Donadoni

«Che si sappia così poco della storia di questo “inutile eroe”, grazie al cui sacrificio – con quello di tanti altri – oggi viviamo in libertà, è un peccato…».

Maurizio Donadoni

Teatro Comunale di Ferrara, 28 ottobre 2022


Nella serata del 28 ottobre 2022 il Teatro Comunale di Ferrara, esattamente a distanza di 100 anni dalla marcia su Roma, ha lasciato il palco ad un Maurizio Donadoni che, con un cocktail di emozioni, ha saputo condensare in novanta minuti di spettacolo la vita, e soprattutto la morte, di Giacomo Matteotti accompagnato dalla fisarmonica di Katerina Haidukova.

“Matteotti Medley” ci riporta alla memoria l’omicidio del Deputato brutalmente ucciso dalla Ceka il 10 giugno del 1924  e, forse ancora più importante, specialmente considerando le tendenze odierne, ci porta alla (ri)scoperta dei primi anni di quel drammatico Ventennio fascista con i quali sarebbe opportuno notare certe analogie con il presente; un ventennio che molti relegano ai libri di storia o, peggio ancora, guardano con nostalgia (come si suol dire: “ogni riferimento è puramente casuale”).

In un momento storico, il nostro, in cui a tutti i costi si vuole scioccamente estirpare la politica dall’arte come fosse erbaccia, è giusto, anzi doveroso, applaudire non solo le doti attoriali di Maurizio Donadoni che, con estrema disinvoltura, è passato in un battito di ciglia da un personaggio all’altro così come da un dialetto all’altro, ma anche la dura presa di posizione contro la politica e i crimini del fascio.

Unico attore sul palco, Donadoni dimostra durante (e dopo) lo spettacolo una profonda conoscenza del personaggio e del contesto storico che non si “limita” alle righe di un copione e che, a chiusura del sipario, invita il pubblico a scoprire anche con il supporto di un pdf disponibile sul sito del Teatro de Gli Incamminati (a cui si deve la produzione dello spettacolo in collaborazione con Fond’Azione Dopolavoro e col contributo di Next Edizione 2021 2022).

Riuscire a intrattenere il pubblico attraverso vicende storiche e drammatiche senza risultare stucchevoli, tediosi o banali è impresa non di poco conto, soprattutto se si considera la quantità immensa di opere che, attraverso ogni medium, hanno raccontato più e più volte quegli orrendi anni del secolo scorso. Ciononostante, la regia di Paolo Bignamini e l’interpretazione di Maurizio Donadoni sono riusciti a creare un equilibrio ed una bilanciata alternanza tra momenti di angoscia e intermezzi di comicità satirica.

Quasi a rischio di offuscamento da parte della vivace prestazione attoriale e naturalmente dall’importanza dei contenuti, vi è uno splendido lavoro sulle scene e i costumi. Pur amando i lavori di animazione, pur apprezzando il valore e di quelle monumentali scenografie frutto di artisti di indubbie competenze, è necessario e doveroso riconoscere che talvolta la semplicità è la scelta non solo più economica ma anche quella più efficace. Pochi oggetti di scena ma sapientemente utilizzati sono bastati allo spettacolo; oggetti che a seconda dell’utilità sono passati dall’essere adoperati dall’attore ad essere parte integrante della scenografia (ne sono un’esempio i giornali passati dall’essere appunto giornali all’essere utilizzati per miniaturizzare gli isolati nei quali si è svolto il rapimento di Matteotti). Degno di nota l’impegno di Eleonora Battisti, Gaia Bozzi, Hefrem Gioia, Martina Maria Pisoni, Giada Ratti, Valentina Silva, Alessia Soressi coordinati da Edoardo Sanchi con la collaborazione della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera.

Matteo Cucchi

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FERRARA: Il Mercante di Venezia – William Shakespeare, 7 ottobre 2022 http://cdp.iteatridellest.com/2022/10/17/ferrara-il-mercante-di-venezia-william-shakespeare-7-ottobre-2022/ http://cdp.iteatridellest.com/2022/10/17/ferrara-il-mercante-di-venezia-william-shakespeare-7-ottobre-2022/#respond Mon, 17 Oct 2022 08:35:28 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=221 IL MERCANTE DI VENEZIA Di William Shakespeare Traduzione: Masolino D’Amico Personaggi e interpreti: Franco Branciaroli: Shylock Piergiorgio Fasolo: Antonio Francesco Migliaccio: Salerio / Doge Emanuele Fortunati: Solanio / Principe di Marocco Stefano Scandaletti: Bassanio Lorenzo Guadalupi: Lorenzo Giulio Cancelli: Graziano / Principe di Aragona Valentina Violo: Porzia Dalila Reas: Nerissa Mauro Malinverno: Lancillotto / Tubal Mersila Sokoli: Jessica regia e adattamento: Paolo Valerio scene: Marta Crisolini Malatesta costumi: Stefano Nicolao

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IL MERCANTE DI VENEZIA
Di William Shakespeare

Traduzione: Masolino D’Amico

Personaggi e interpreti:

  • Franco Branciaroli: Shylock
  • Piergiorgio Fasolo: Antonio
  • Francesco Migliaccio: Salerio / Doge
  • Emanuele Fortunati: Solanio / Principe di Marocco
  • Stefano Scandaletti: Bassanio
  • Lorenzo Guadalupi: Lorenzo
  • Giulio Cancelli: Graziano / Principe di Aragona
  • Valentina Violo: Porzia
  • Dalila Reas: Nerissa
  • Mauro Malinverno: Lancillotto / Tubal
  • Mersila Sokoli: Jessica

regia e adattamento: Paolo Valerio
scene: Marta Crisolini Malatesta
costumi: Stefano Nicolao
Luci: Gigi Saccomandi
Musiche: Antonio di Pofi
Movimenti di scena: Monica Codena

Produzione: Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro de Gli Incamminati si ringrazia per la collaborazione la professoressa Laura Pelaschiar dell’Università degli Studi di Trieste

Durata: 2 ore più intervallo

 

Teatro Comunale di Ferrara, 7 ottobre 2022


La stagione di prosa apertasi al Teatro Comunale di Ferrara lo scorso venerdì 7 ottobre porta sulla scena tutta la complessità de “Il Mercante di Venezia”. L’opera teatrale del drammaturgo inglese William Shakespeare si pone con un delicato equilibrio tra la tragicità degli eventi narrati e la comicità dei toni con i quali questi vengono presentati dai personaggi sul palco. Del resto lo scrittore elisabettiano prende come soggetto per il suo capolavoro, scritto tra il 1594 e il 1598, una novella de “Il Pecorone” (un genere letterario considerato di basso registro all’epoca) scritta dal nostrano ser Giovanni Fiorentino, epigono del più celebre Giovanni Boccaccio; autore fondamentale per l’avvio della letteratura inglese (si pensi ai “The Canterbury Tales” di Chaucer). Ma se Shakespeare passa alla storia come il grande autore delle grandi storie di Macbeth, Romeo e Giulietta, Amleto e tante altre ancora, il suo più grande apporto è forse quello di autore di personaggi complessi e in costante dialogo con sè stessi e con il mondo circostante. Shakespeare, come giustamente faceva notare il Pirandello, rappresenta la grande cesura tra il personaggio antico (e spesso medievale) e quello moderno. Interpretare un personaggio shakespeariano è perciò particolarmente complicato anche nell’agiatezza della versione tradotta in italiano dell’opera e, arrivando finalmente alla produzione del Centro Teatrale Bresciano, del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, del Teatro de Gli Incamminati portata sul palco estense del Teatro Comunale di Ferrara, tali difficoltà sono state ampiamente superate da un ottimo cast premiato da una meritata standing ovation.
Come spesso accade di un’opera resta impressa un’aria o un monologo particolarmente incisivo. Nel caso de “Il Mercante di Venezia” il monologo certamente più ripreso, citato e travisato è  quello di Shylock. Le sue parole vengono infatti talvolta decontestualizzate e assunte a inno all’uguaglianza tra gli uomini spesso trascurando l’identità del personaggio che le pronuncia. Shylock è si un ebreo vittima delle discriminazioni religiose ma è al tempo stesso un diavolo che vuol ripagare le offese con il sangue, è un uomo avido che deve le sue ricchezze all’usura e che mette il suo patrimonio al pari se non sopra la sua stessa figlia. Nel personaggio di Shylock convivono sia il desiderio di rivalsa su quell’oppressore mondo cristiano nel quale vive sia quello stereotipo dell’ebreo ancora oggi in parte adottato dalla comicità televisiva americana. Una grande nota di merito va dunque al suo interprete, Franco Branciaroli, che ha saputo mostrare ogni sua sfaccettatura ricevendo numerosi e ripetuti applausi da un pubblico entusiasta.
Eccezionale anche l’interpretazione di Porzia ad opera di Valentina Violo che ne ha saputo svelare tanto la frustrante condizione quanto l’astuzia finale. Porzia è infatti la solutrice di tutta la trama; dato notevole se consideriamo che fino a Boccaccio le donne della letteratura non pronunciavano nemmeno discorsi limitandosi a brevi battute. La protagonista femminile di Shakespeare non solo risolve la situazione ma lo fa con strumenti giuridici certamente preclusi alle donne del tardo medioevo (che lo faccia travestendosi da uomo è emblematico).
Non meno degne di nota sono le prestazioni di Giulio Cancelli (nei panni di Graziano e del Principe di Aragona) e di Stefano Scandaletti (Bassiano).
Altrettanto ottimo il lavoro di Mauro Malinverno che ha saputo alternare i ruoli di Tubal e Lancillotto.
Apparentemente il ruolo di Antonio, eponimo dell’opera in questione, è fornito di meno spessore di Shylock e meno spazio di Bassanio (che di fatto la fa da protagonista). Ciononostante, il mercante di Venezia rappresenta quel valore di amicizia indissolubile che è valore fondamentale e ideale nella letteratura medievale. Piergiorgio Fasolo ha ben dipinto quest’immagine con la sua interpretazione.
Ben calati nel proprio ruolo erano anche Francesco Migliaccio (Salerio/Doge), Dalila Reas (Nerissa), Mersila Sokoli (Jessica), Emanuele Fortunati (Solanio/Principe di Marocco) e Lorenzo Guadalupi (Lorenzo).
I costumi di Stefano Nicolao sono curati e ben differenziati al fine di riconoscere facilmente i personaggi in scena. Altrettanto purtroppo non posso dire delle scene stesse, ad opera di Marta Crisolini Malatesta, che avrebbero potuto meglio distinguere il cambio di ambientazione anche con il contributo delle luci di Gigi Saccomandi. Nonostante qualche perplessità sulle coreografie nei cambi di scena e le problematiche appena descritte, la regia di Paolo Valerio può dirsi un successo.

Matteo Cucchi

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C’era 100 volte Astor – Alessandro Cerino, 29 agosto 2021 http://cdp.iteatridellest.com/2021/09/02/cera-100-volte-astor-alessandro-cerino-29-agosto-2021/ http://cdp.iteatridellest.com/2021/09/02/cera-100-volte-astor-alessandro-cerino-29-agosto-2021/#comments Thu, 02 Sep 2021 12:23:22 +0000 http://cdp.iteatridellest.com/?p=164     In occasione del centenario della nascita del grande Astor Piazzolla, straordinario musicista e padre del Nuevo tango, l’Orchestra Sinfonica di Milano propone “C’era 100 volte Astor”; un’occasione per ritornare alla musica del grande Piazzolla, alla cui scoperta ci conduce il M° Alessandro Cerino – ideatore del progetto – insieme alla voce di Daniela Panetta e alla batteria di Tony Arco nella splendida cornice del Castello Sforzesco di Milano.

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In occasione del centenario della nascita del grande Astor Piazzolla, straordinario musicista e padre del Nuevo tango, l’Orchestra Sinfonica di Milano propone “C’era 100 volte Astor”; un’occasione per ritornare alla musica del grande Piazzolla, alla cui scoperta ci conduce il M° Alessandro Cerino – ideatore del progetto – insieme alla voce di Daniela Panetta e alla batteria di Tony Arco nella splendida cornice del Castello Sforzesco di Milano.

PROGRAMMA

Alessandro Cerino, Astor for ever

Astor Piazzolla, Solitude – Los Pajaros perdidos – Escolaso – Escualo

Ave Maria-El Infierno tan temido – Libertango – Oblivion

Alessandro Cerino Liberthanks

 

 

Castello Sforzesco 29 agosto 2021


Diremo che le aspettative di chi avrebbe voluto riascoltare la musica di Astor Piazzolla sono state almeno in parte disattese. Quel che in locandina non viene chiaramente annunciato sono la rivisitazione e l’arrangiamento operati dal M° Alessandro Cerino alle partiture originarie. Ammesso e concesso (o non concesso, che dir si voglia) che come dice Cerino, dopo cento anni, sia lecito metter mano e pesantemente al lavoro di chi non essendo presente non potrà esprimere approvazione o diniego, resta pur sempre l’amaro in bocca per aver ascoltato qualcosa di diverso da quanto ci si aspettava.

Astor Piazzolla

Ciò detto, dopo esserci molto interessati e più volte dall’inizio dell’anno (il centesimo dalla nascita) all’opera di Piazzolla, va anche ricordato che fu egli stesso vittima dei puristi del genere che lo processarono e condannarono al pari di un eretico dinnanzi all’inquisizione per aver dissacrato il tango, Musica da Ballo. Il nuevo tango di Piazzolla impiegò decenni perché venisse finalmente e comunemente accettato, quindi rappresentato in patria, l’Argentina. Solo da quel momento in poi il nuevo tango sarebbe diventato musica da poter ascoltare anche restando seduti a teatro.

Auguriamoci che le innovazioni apportate da Cerino a quelle già prodotte da Piazzolla si trovino un giorno a seguire lo stesso destino di chi lo ha preceduto. Allora si dirà che galeotta fu la forte spinta verso un genere musicale che almeno apparentemente poco ci azzecca anche con il non più solo ballabile dell’autore argentino: il jazz. Una spinta trascinante, talvolta interessante, a volte persino aggraziata (penso alla rivisitazione di Oblivion), a volte oltremodo caotica da rendere quasi irriconoscibile la melodia originale, altre volte confinante con il tema musicale cinematografico. Cerino è senz’altro un cultore del compositore argentino sul quale ha scritto e pubblicato ben otto volumi, che si è guadagnato il permesso per gli arrangiamenti da parte dell’editore Curci (presente in platea), ed è soprattutto un esecutore molto più che virtuoso. Anche se i presupposti non sono stati dei migliori, quello cui ci si è poi trovati davanti è in tutto e per tutto un artista intenso, emozionante.

Un visionario che è ben riuscito, malgrado le aspettative disattese, a trascinare persino i più ritrosi dentro alla sua personale visione. Lo ha fatto con la sua carica emozionale, con il suo modo di porsi e di proporre l’incontro tra la sua arte ed un pubblico, quello milanese, che non è notoriamente caldissimo, ma che ha molto apprezzato contribuendo con incontenibili applausi a scena aperta. Avviene in particolar modo durante gli assoli in cui il fiato immesso nei personalissimi strumenti diviene voce, una voce suadente, calda e sublime che accarezza l’anima.

Della solista, Daniela Panetta, cantante e autrice dei testi aggiunti ai brani Escolaso e El Infierno tan temido, possiamo dire solo brava!

L’assolo introduttivo del batterista Tony Arco operato su Libertango è l’occasione perfetta per metterne in evidenza lo straordinario talento.

Un plauso senza riserva alcuna va all’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi che ha messo in campo, oltre ad un eccellente organico, la plasticità necessaria per superare indenne il difficile passaggio dal repertorio classico a quello moderno, non soltanto riuscendo a mantenere un elevato standard qualitativo, ma costituendo di fatto un valore aggiunto.

Discutibile la cura dell’apparato tecnologico: infastidisce l’amplificazione eccessiva, in particolar modo per chi si fosse trovato a poche file dall’altoparlante, forse troppo usurato o soltanto di pessima qualità; i problemi con il mixer che forse per carenze nella microfonazione restituiscono in più occasioni un balance approssimativo, tale da rendere difficile la distinzione tra gli strumenti.

I controlli all’ingresso cui ci si è dovuti presentare con green-pass e documento di identità non hanno destato particolare fastidio. La suggestiva cornice Sforzesca esercita come sempre il suggestivo fascino della Milano da bere, gloriosa meta di eventi e di divertimento spensierato.

Pubblico numeroso e ampiamente soddisfatto, così come ha dimostrato con lunghi e ritmati applausi alla ribalta finale e richiesta di bis soddisfatta dalla generosità degli artisti.

Roberto Cucchi

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