MILANO: Il misantropo – Molière, 9 novembre 2023 a cura di Nicola Salmoiraghi
Teatro Franco Parenti, 9 novembre 2023
Dopo un debutto di rodaggio, mesi fa, sulle tavole del Teatro della Pergola a Firenze, è approdato al Teatro Franco Parenti di Milano l’attesissimo Misantropo di Molière.
Attesissimo sia per la regia di Andrée Ruth Shammah, nume tutelare del Parenti, e il ritorno alla prosa, dopo tanti successi meritatamente ottenuti sui palcoscenici lirici internazionali, di Luca Micheletti, baritono, attore, regista, traduttore; artista eclettico a 360 gradi.
Il Misantropo, che vide la luce della scena nel 1666, ritrae la malinconica, dolorosa, complessa figura di Alceste: uomo volontariamente isolato dal resto della società del suo tempo (che poi è il nostro, la natura umana non cambia), di cui rifiuta l’ipocrisia, la falsità, l’opportunismo, il dire una cosa di fronte per pensarne un’altra alle spalle; il suo bisogno estremo di sincerità sia quel che sia, lo porta a mettersi nei guai, ad inimicarsi potenti e cortigiani; ama una donna, disperatamente, Célimène, che è invece la summa dei difetti che lui odia: civetta, maldicente, frivola e calcolatrice.
Anche lei lo ama, ma non è disposta a rinunciare al proprio essere, al proprio modo di vivere, alle regole del mondo che la circonda, sbagliate che siano. Alceste ha anche un amico, l’unico, Philinte, che razionalmente capisce le ragioni di Alceste ma cerca di indirizzarle con saggezza verso un quieto vivere fatto di disincantata accettazione del mondo così com’è. Dietro la gelosia di Alceste verso Célimène si cela quella reale che Molière provava per la propria consorte, al quale il personaggio è in un certo senso ispirato. Alla fine Alceste, abbandonato da tutti, anche da Philinte che troverà una compagna nella dolce Eliana, resterà solo in compagnia unicamente della propria ferita ma incrollabile intransigenza.
Andrée Ruth Shammah ci restituisce un teatro classico e moderno al tempo stesso (“se questo testo è attuale, e lo è, non c’è bisogno di modernizzarlo; non occorre portare Molière verso di noi, sta a noi elevarci a lui”, ha affermato Shammah). La traduzione in versi, in rime settenarie, ottimamente resa da Valerio Magrelli, con la collaborazione della stessa regista e di Micheletti, dapprima ha un effetto straniante, ma subito si entra nel meccanismo del crudele gioco di società che rappresenta; e le parole si fanno così musica, densa di significato.
La regia della Shammah è vitale, energetica, brillante; i movimenti degli attori sono curati (con la collaborazione di Isa Traversi) come in un fluido scorrere di danza, in un flusso continuo di entrate e uscite calibrate al millimetro e sempre con senso narrativo e drammatico.
Margherita Palli, un monumento vivente della scenografia teatrale, che gli dei ce la conservino, ha creato un impianto che riproduce la Sala prove Testori, dove questa produzione del Misantropo è nata e ha preso vita, e i personaggi sono cresciuti e, guardandosi negli occhi, si sono riconosciuti. Bellissimi, nel loro controcanto cromatico, i costumi secenteschi di Giovanna Buzzi, e ben calibrate le luci di Fabrizio Bellini e le musiche di Michele Tadini. Uno spettacolo visivamente accattivate e concettualmente pregnante, da vedere. Anche perché parla di noi, sempre, come tutti i capolavori fanno.
Nel cast domina la personalità carismatica e vocale (che timbro bello, caldo, avvolgente, pastoso, non ti stancheresti mai di ascoltarlo) di Luca Micheletti, che rende magistralmente la personalità sfaccettata, introversa, tormentata e anche ammantata di indifesa tenerezza di Alceste. Non c’è gesto, inflessione, espressione del volto che non abbia una sua ragione. Bravissimo.
Non gli è inferiore Angelo Di Genio, Philinte accorato e ironico, sensibile e cinico ad un tempo, in perfetto dosaggio di tempi teatrali e modulazioni insinuanti, varie nei toni e nelle intenzioni.
Molto bravi, nei loro ritratti, Corrado D’Elia (Oronte) e i marchesi di Filippo Lai e Vito Vicino (rispettivamente Citandro e Lacasta).
Nel comparto femminile lodi per la vaporosa e manipolatrice Célimène di Marina Occhionero, per la dolce Eliana di Maria Luisa Zaltron, e, in particolare, per l’aguzza e ambigua Orsina di Emilia Scarpati Fanetti.
Completavano adeguatamente la locandina Andrea Soffiantini (Basco), Pietro De Pascalis (Du Bois), Francesco Maisetti (Guardia) e Matteo Delespaul (Secondo servitore)
Pubblico plaudente e soddisfatto al termine. Si replica sino a inizio dicembre.
Nicola Salmoiraghi